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Frederick Forsyth: addio al maestro che ha insegnato al mondo a scrivere la verità
Maestri e ispirazioni
Frederick Forsyth, thriller politico, romanzo Default, ispirazioni d'autore, scrittura e potere
19/06/2025
L’addio a un gigante della narrativa: cosa ci lascia Frederick Forsyth
C’è un momento, nella vita di ogni scrittore, in cui ti rendi conto che la voce che ti ha accompagnato per decenni, la penna che ti ha indicato la strada, non scriverà più. Non ci saranno nuovi capitoli, nessuna nuova missione, nessun dossier segreto riemerso dal gelo della Guerra Fredda. Solo il silenzio. Quel silenzio tagliente che Frederick Forsyth ha usato mille volte nei suoi romanzi e che oggi urla.
È morto uno dei più grandi narratori del nostro tempo. E a me sembra di aver perso molto più di un autore. Ho perso un maestro, un mentore invisibile, una guida che, pur non conoscendomi, ha modellato la mia scrittura, i pensieri, persino lo sguardo sul mondo. Non esito a dire che senza Forsyth, il mio romanzo Default non esisterebbe. Sì, perché ogni pagina che ho scritto, ogni intreccio che ho pensato, ogni svolta che ho seminato lungo la strada, deve qualcosa al suo stile, alla sua precisione chirurgica, al suo coraggio narrativo.
Ricordo ancora la prima volta che ho letto Il giorno dello Sciacallo. Avevo tra le mani un libro che sembrava respirare. Ogni pagina era una trappola, ogni frase un colpo in canna. Fiction, sì, ma era anche qualcos’altro: era verità dissimulata, un’indagine nel cuore stesso del potere, una lezione su come si racconta un mondo che si muove nell’ombra.
Il thriller come denuncia e sguardo sulla realtà
Lì ho capito che il thriller dev’essere denuncia, indagine, lente di ingrandimento puntata sui dettagli che i telegiornali sfuggono; il tentativo disperato – e a volte riuscito – di svelare il meccanismo dietro il meccanismo.
Giornalista, narratore, agente: Forsyth e la verità travestita da finzione
Forsyth aveva la straordinaria capacità di raccontare complessità geopolitiche, manovre militari, cospirazioni internazionali, senza mai perdere la tensione narrativa. In lui sembravano convivere due anime: quella del giornalista investigativo e quella del narratore puro. Da una parte l’uomo che cerca la verità, dall’altra quello che sa come raccontarla. E in mezzo, noi lettori, rapiti.
Ho letto, riletto, e letto ancora tutto di lui.
Dalla minaccia incombente de I mastini della guerra, al genio dell’inganno de Il quarto protocollo, passando per Il dossier Odessa, Il negoziatore, Il veterano, Il pugile, Il cobra, fino all’ultimo, The Fox, che sembrava una sfida lanciata alla nuova generazione di scrittori: “Vediamo se riuscite a reggere il confronto”.
E, credetemi, reggere il confronto con Forsyth non è cosa da poco. Perché lui scriveva come un ex agente che non ha mai davvero lasciato il campo. Conosceva gli ambienti, i linguaggi, le paure. Sapeva come si muovono gli uomini nei corridoi del potere, nei deserti dell’Africa, nei cieli solcati da droni e aerei da guerra. Era reale. Spaventosamente reale. Eppure, sempre leggibile, sempre magnetico.
Il suo stile era un'arma: asciutto, calibrato, preciso
La sua scrittura era asciutta, essenziale, chirurgica. Niente orpelli, niente sentimentalismi fuori luogo. E proprio per questo sapeva colpire. Ogni parola era scelta, calibrata, incastrata. Come un ordigno. Bastava girare la pagina e — boom — esplodeva la verità.
Nel mio romanzo Default, un thriller geopolitico in cui finanza e potere si mescolano in un equilibrio pericoloso, c’è molto del suo stile. Non per imitazione — sarebbe impossibile — ma per ispirazione. L’idea che dietro le notizie ci siano altre storie. L’ossessione per i dettagli. La costruzione di personaggi che non sono buoni o cattivi, ma ambigui, vivi, scavati dalla realtà.
Scrivere Default è stato anche un modo per rendere omaggio a Forsyth. Ogni volta che costruivo una scena, mi chiedevo: “Cosa farebbe lui? Cosa direbbe Forsyth di questo passaggio?”
E se non riuscivo a trovare la risposta, aprivo un suo libro. Qualsiasi. Bastava leggere una pagina per ricordarmi cos’è che rende un thriller davvero potente: la verità. Non quella assoluta, ma quella che nasce dall’osservazione acuta del mondo.
Oggi che Frederick Forsyth non c’è più, sento un vuoto, ma anche una grande responsabilità. Perché noi che scriviamo abbiamo un dovere: tenere viva la fiamma che lui ha acceso. Continuare a raccontare storie che scavano sotto la superficie. Continuare a credere che il thriller non debba essere solo finzione, ma uno strumento per capire il mondo, per leggerlo meglio, per smascherarlo.
Il compito dello scrittore: smascherare il mondo
Forsyth ci ha lasciato in eredità qualcosa di prezioso: una lezione di scrittura e di sguardo. Ci ha insegnato a non accontentarci, a non fermarci alla prima versione dei fatti, a chiederci sempre “chi c’è dietro?”. Ci ha insegnato che anche la più grande delle verità può essere sepolta sotto un documento, un file, un silenzio diplomatico. Ma che il dovere dello scrittore è scovarla. Raccontarla. A qualunque costo.
Grazie, Maestro.
Grazie per averci mostrato che la penna può essere più tagliente di una lama.
Grazie per averci fatto viaggiare nei meandri del potere e del terrore, con la lucidità di chi ha visto davvero.
Grazie per aver ispirato milioni di lettori. E di scrittori.
Che tu possa riposare in pace, vecchio lupo di mare.
Noi, nel frattempo, continueremo a raccontare il mondo come ci hai insegnato tu: con precisione, passione, e quella scintilla di verità che può ancora illuminare l’ombra.